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Linguaggio e Realtà: Il Paradosso dell’Esperienza Umana

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arola Viviamo in un mondo apparentemente reale, ma in realtà è solo una rappresentazione mentale, una sorta di illusione fantastica e irrazionale. In questa cornice, le opinioni che esprimiamo sono allo stesso tempo vere e false, poiché trovano fondamento nel linguaggio, lo strumento che l’umanità ha perfezionato nel corso di millenni.

La Verità, però, è al di là dell’esprimibile tramite parole. Non può essere trasmessa attraverso il linguaggio comune, ma può essere raggiunta soltanto attraverso i modi di agire e le tecniche impiegate dagli asceti induisti e buddhisti, così come dai mistici appartenenti alle tradizioni islamiche e cristiane.

Tutte le dispute che hanno infiammato gli animi nel corso dei secoli tra gli studiosi, o le terribili guerre combattute per affermare i dogmi di una particolare religione, possono essere considerate come lotte vane. Questi conflitti sono nati dal tentativo di difendere dottrine basate sulle parole, cercando di descrivere una Realtà che si colloca ben al di là e al di sopra del nostro limitato piano umano.

Immersi in questa intricata rete di linguaggio, ci troviamo spesso a dibattere e litigare, cercando di convincere gli altri delle nostre prospettive. Tuttavia, è fondamentale comprendere che le parole sono soltanto veicoli imperfetti per trasmettere la complessità della realtà. Ciò che è vero e ciò che è falso si fonde in un caleidoscopio di interpretazioni, poiché la verità va al di là delle parole.

Le grandi tradizioni spirituali del mondo hanno da tempo riconosciuto questo dilemma. Gli asceti induisti e buddhisti, così come i mistici islamici e cristiani, hanno sviluppato tecniche e pratiche per oltrepassare i limiti del linguaggio e accedere a una dimensione di comprensione più profonda.

L’ascesi induista, ad esempio, attraverso la meditazione e la disciplina del corpo, cerca di superare la dualità tra il soggetto e l’oggetto, raggiungendo uno stato di unione con l’Essenza universale. I mistici cristiani, d’altra parte, tramite la contemplazione e la preghiera silenziosa, cercano di entrare in comunione diretta con la Divinità, superando le barriere del linguaggio.

In modo analogo, il sufismo nell’Islam, con le sue pratiche di dhikr (ricordo di Dio) e l’annientamento dell’ego, mira a fondersi con la Realtà ultima. Mentre le scuole buddhiste, con la loro enfasi sul raggiungimento dello stato di Nirvana, cercano di trascendere il ciclo delle nascite e delle morti, superando il velo delle illusioni generate dal linguaggio.

Quando pensiamo a queste vecchie tecniche, possiamo capire che la Verità è qualcosa che si vive, è una realtà che va oltre le parole. Non possiamo tenerla o spiegarla con definizioni o idee chiare. È come un posto dove il linguaggio non può arrivare.

È quindi fondamentale riconoscere che le lotte per imporre sistemi filosofici o credenze religiose basate sul linguaggio sono solo manifestazioni di una limitata comprensione della realtà. La ricerca della Verità va oltre la sfera delle parole e richiede un’apertura alla dimensione ineffabile dell’esistenza.

Ecco un simpatico racconto che ci perviene dalla tradizione induista:

Molto tempo fa, nelle terre dell’antica India, si scatenò una feroce disputa tra filosofi, ognuno convinto di possedere la Verità suprema. Il saggio Maharajah di quella regione decise di risolvere la controversia in modo insolito: fece condurre un elefante nel cortile del palazzo e chiamò cinque mendicanti ciechi, chiedendo loro di toccare l’animale e descriverlo.

Il primo mendicante, posando le mani su una zampa, dichiarò con certezza che stava toccando una colonna. Il secondo, palpando un orecchio, affermò senza esitazione che era di fronte a un ventaglio. Il terzo, afferrando la coda, proclamò con fermezza che aveva tra le mani una scopa. Il quarto, toccando la proboscide, si allontanò bruscamente spaventato, sostenendo di aver trovato un enorme serpente. L’ultimo mendicante, palpando un dente, con convinzione dichiarò di avere tra le mani una lancia affilata.

Il Maharajah si rivolse quindi ai filosofi, spiegando loro che era inutile litigare. L’elefante, simbolo della Verità, è al di là della comprensione umana. Ognuno di noi può percepirlo solo in modo parziale e nessuna di queste prospettive parziali può essere definita come la Verità assoluta, ma allo stesso tempo nessuna di esse è completamente sbagliata.

In conclusione, mentre continuiamo ad esplorare e cercare di capire il mondo che ci circonda, è essenziale ricordare che la Verità risiede oltre le parole. Le opinioni e le dottrine possono offrire orientamenti, ma l’esperienza diretta è la chiave per percepire la vastità e la profondità della realtà. Liberiamoci dalle catene del linguaggio e abbracciamo l’ineffabile.

 

“Il saggio, dopo aver studiato i trattati della conoscenza religiosa e profana, abbandoni completamente tali trattati, come colui che cercando il seme abbandona la scorza” (Brahmabindù Upanishad,18)”
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