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Philip K. Dick oggi verrebbe considerato un complottista?

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Quasi tutti coloro che amano la fantascienza avranno sentito nominare Philip K. Dick. Tra le varie assurdità che hanno scritto su di lui si diceva che era il disc jockey di musica classica che prendeva LSD, poi, in estenuanti accessi di creazione, scriveva romanzi complicati sulla disintegrazione dell’universo e/o sulla natura di Dio.

La storia non è del tutto vera, come sottolinea Lawrence Sutin in “Divine Invasions”. Dick non è mai stato un deejay e l’LSD era tra le poche droghe che non gli piacevano. Ma gli piaceva inventare la sua autobiografia spontanea e poteva indurre le persone a credergli.

La verità è questa: all’inizio della vita Philip Dick ha sviluppato l’immaginazione e la disciplina per scrivere in modo prolifico. Divenne anche dipendente dalle anfetamine e col tempo il suo deterioramento mentale e fisico divenne estremo. I suoi rapporti, in particolare con sua madre, cinque mogli, fidanzate e figli, divennero sempre più perversi e manipolatori. Ha tentato il suicidio più volte; divenne paranoico, maniaco-depressivo e, quando finalmente divenne abbastanza ricco, la sua agorafobia lo aveva reso un recluso virtuale. Morì di ictus all’età di 53 anni, nel 1982.

Il vero pathos di Dick risiede nella sua vita da non scrittore. È cresciuto con una madre genuinamente povera e con dei parenti, compreso un nonno che probabilmente abusava di lui. Per tutta la vita di Dick è stato ossessionato dalla sorella gemella che è morta poco dopo la nascita. Non perdonò mai sua madre per questo o per qualsiasi mancanza, per quanto lieve, anche se per tutta la vita la povera donna lo adorava. La sua terza moglie è stata il modello per la devastante malvagità di ”Confessioni di un artista di merda”, il suo unico romanzo ”diretto” di successo; trascorse il matrimonio in una furia di liti, gelosie, droghe e autocommiserazione.

Negli anni ’70 Dick cominciò ad avere visioni religiose. Temeva i furti, la polizia, i comunisti, i nazisti, la CIA, l’FBI e l’IRS. Più di una volta ha cercato di diventare il guru delle ragazze e delle donne della metà dei suoi anni.

Capirete quindi che non è impresa facile riuscire a condensare l’opera di un autore che dagli anni ’50 fino alla sua scomparsa ha scritto 44 romanzi e 121 racconti, ispirando la produzione di una dozzina di film di successo. A partire dalla sua scomparsafino a oggi il futuro da lui immaginato è già in parte una realtà, non tanto dal punto di vista tecnologico, quanto per i temi – da lui ripescati dalla filosofia e dalla psicologia – oggi sempre più attuali. Tre argomenti in particolare che potrebbero riassumere la sua produzione:

Le sue riflessioni derivano probabilmente da una mente pessimista e paranoica. Non sapremo mai con certezza se le sue «visioni» e ossessioni fossero il frutto dell’infanzia vissuta in un clima famigliare difficile o se il suo universo immaginario nascesse dall’uso di allucinogeni.

Un aneddoto che gli viene spesso attribuito potrebbe aiutarci a capire meglio come Dick trovasse l’ispirazione.

Una volta entrando in bagno cercò di accendere la luce tirando una cordicella. La moglie gli ricordò che non avevano mai avuto una lampadina a corda in casa, bensì dei comuni interruttori. Un falso ricordo dunque, di quelli che potrebbero capitare a tutti, ma che in lui stimolarono diverse riflessioni:fino a che punto i nostri ricordi sono reali? Sarebbe possibile indurre in una persona ricordi di un passato mai esistito? Effettivamenteanche questo aneddoto potrebbe essere solo una delle sue storie.

Blade Runner: gli androidi sognano pecore elettriche?

Nel 1968 Dick pubblica il romanzo breve “Do Androids Dream of Electric Sheep?”,adattato nel film Blade Runner del 1982, che vede come protagonista il cacciatore di androidi Rick Deckard. In un futuro in cui l’intelligenza artificiale e la precisione con cui sono costruiti i robot li rende praticamente indistinguibili dalle persone, l’unico modo per riconoscerli sembra essere individuarne la mancanza di empatia in appositi interrogatori. La possibilità di impiantare in questi «replicanti» (termine usato nel film) dei ricordi fittizi di un passato mai vissuto, fa sìche nello stesso Deckard possa insinuarsi il dubbio: e se fosse egli stesso una macchina?

La prima versione

La capacità di creare empatia viene presa molto sul serio oggi nello sviluppo di intelligenze artificiali impiegate in vari ambiti:le ricerche in merito passano anche attraverso lo studio della mimica facciale nei robot, per imitare le emozioni. In questo spirito, la Hanson Robotics produsse una replica molto verosimile della testa dello scrittore, in grado di parlare e di articolare diverse espressioni facciali. Ebbe una vicenda piuttosto «avventurosa» visto che la prima andò perduta nel 2006, ne venne poi costruita una seconda versione nel 2011. Ma i robot e le innovazioni tecnologiche in generale sono solo degli strumenti che nell’opera di Dick servono a dare uno sfondo ai suoi dubbi sulla realtà e su come potrebbero manipolarci alterandola.

La seconda versione

I guardiani del destino: squadra riparazioni

Nel 1954 viene pubblicato Adjustment Team, «Squadra riparazioni» nella traduzione italiana, adattato nel film The Adjustment Bureau, «I guardiani del destino» nel 2011. La versione cinematografica usa il racconto come spunto per sviluppare una trama più articolata.

Le intelligenze artificiali sono determinate da come impostiamo i loro algoritmi, anche se già oggi possono sfuggire al nostro controllo. Anche noi potremmo essere «programmati», non ci sarebbe nemmeno bisogno di impiantare falsi ricordi, ma basterebbe sfruttare le nostre conoscenze su come funziona il nostro cervello, costruendo così una realtà alternativa. Il protagonista Ed Fletcher se ne accorgerà, notando che recandosi al lavoro in ritar dotutto gli sembra diverso dal solito.

Nella versione cinematografica le manipolazioni assumono delle connotazioni più sociali: effettivamente anche le nostre conoscenze su come si comportano le società e sul modo in cui si generano le relazioni sociali, può aiutare potenti Governi a indurre le persone a comportarsi secondo schemi prestabiliti, decidendo il nostro destino.

La svastica sul Sole: l’Uomo nell’alto castello

Come potrebbero esistere realtà alternative rispetto a una fittizia costruita a nostra insaputa, allora perché non dovrebbe esserlo anche il corso della Storia? E se l’Universo continuasse nella sua espansione a creare delle realtà diverse? Dopo un periodo di pausa dalla scrittura in cui aiutò la moglie nella sua attività, Philip K. Dick si immerse nuovamente nella creazione dell’opera che gli farà vincere il premio Hugo: ritenuto il massimo riconoscimento per uno scrittore di fantascienza.

Parliamo di The man in the high castle, pubblicato nel 1962, conosciuto nella traduzione italiana anche come «La svastica sul Sole», adattato come serie televisiva dal 2015 da Amazon per il suo servizio streaming. I protagonisti vivono in un «presente alternativo» in cui nazisti e giapponesi hanno vinto la Seconda guerra mondiale, spartendosi il territorio degli Stati Uniti. Tuttavia comincia a circolare un libro scritto dall’«Uomo nell’alto castello», dove si racconta una «Storia alternativa» in cui gli americani vincono la guerra. In questo modo i lettori stessi vivrebberoin una «realtà parallela», in un’America dove all’epoca vigeva ancora la segregazione razziale.

L’Lsd condizionò la sua scrittura?

Il conflitto tra Dick e la percezione della realtà, con tutte le conseguenze che ebbe nella sua creatività, trova nelle sue opere varie coniugazioni in tanti racconti e romanzi, sviluppando diverse situazioni paranoiche: dalla possibilità di arrestare i criminali prevedendo i crimini prima che accadano, a quella di usare la realtà virtuale per vivere esperienze fittizie, magari a nostra insaputa.

Effettivamente in diversi testi Dick inserisce «temi farmaceutici», i protagonisti subiscono spesso degli sconvolgimenti nella percezione della realtà, a seguito dei quali scoprono la «vera natura dell’Universo». Tutti elementi che lo scrittore doveva conoscere molto bene. In un’intervista rilasciata per Vertex nel 1974, Dick ammette di essere stato uno dei primi scrittori noti ad aver fatto uso di Lsd, escludendo tuttavia la possibilità che questo avesse determinato la sua carriera:

“È sempre possibile che abbia avuto un effetto che non conosco. Prendi il mio romanzo “Le tre stimmate di Palmer Eldritch”, che parla di un tremendo trip da acido, per così dire. L’ho scritto prima di aver mai visto l’LSD. L’ho scritto leggendo solo una descrizione della scoperta e del tipo di effetto che aveva. Quindi se quello, che è il mio romanzo principale di tipo allucinogeno, è venuto senza che io abbia mai preso LSD, allora direi che anche il mio lavoro successivo all’LSD … poteva facilmente essere stato scritto senza prendere acido …

Prima di tutto, non puoi scrivere nulla quando sei acido. Una volta ho fatto una pagina mentre ero in viaggio da acido, ma era in latino.”

Philip K. Dick un complottista?

Sarebbe ingiusto definire Dick un teorico del complotto, dal momento che non presentò mai le sue opere come qualcosa che esprimesse la realtà dei fatti. Certamente però i temi da lui sviluppati ricordano parecchio le narrazioni di molte tesi complottiste. Pensiamo alla teoria nella Terra piatta, secondo cui la Nasa, con l’aiuto dei governi di tutto il Mondo, complotterebbe per farci credere di vivere in una realtà fittizia.

Ma al contrario delle teorie complottiste l’opera di Dick è riuscita in parte a essere predittiva. Oggi parliamo di realtà virtuale, robotica, intelligenza artificiale, ci interroghiamo su come attraverso bott e troll sia possibile alterare l’informazione. Ancora è presto per vedere in giro i replicanti di Blade Runner e per fortuna viviamo in una realtà in cui i nazisti hanno perso, ma in compenso di manipolazione della realtà percepita e di cerchie polarizzate ne abbiamo in abbondanza sopratutto di questi tempi.

Alcuni suoi libri più noti

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Alcune trasposizioni cinematografiche

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