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Un esperimento ai limiti della fantascienza è stato condotto da un ricercatore di nome Gian Battista Ferlini alcuni anni fa. Pochi gli elementi utilizzati per tale esperimento ma che sarebbero stati in grado di aprire uno stargate, o portale dimensionale se vogliamo chiamarlo così.

Useremo un bel po’ di condizionali in questo articolo proprio perchè il racconto è veramente sconcertante, come abbiamo detto ai confini tra scienza e fantascienza, e quello che più mi lascia interdetto di quanto, se vorrete potrete leggere, è l’apparente semplicità dell’esperimento in sé… infatti se qualche lettore è dotato di capacità tecniche in grado di provare a replicare questo esperimento documentando il tutto saremmo lieti di ritornare sull’argomento con un nuovo articolo e i risultati prodotti.

Quello che seguirà è l’estratto del racconto di Ferlini tratto dal libro:

“La Barriera Magnetica – La soglia dell’altra dimensione”

Il libro è scaricabile in PDF oppure leggibile per intero online a fine articolo per gli utenti registrati, in questo articolo ci limiteremo al racconto degli esperimenti, saltando tutta la parte relativa agli studi precedenti del Dott. Ferlini che dalle Piramidi l’anno portato a studiare il magnetismo con cui avrebbe aperto addirittura un portale dimensionale.

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Ora … chi ha visto il film Stargate penserà ad uno scherzo, poichè nel film il “portale” sembra veramente formarsi in una struttura che sembrerebbe avere degli elementi simili a magneti disposti a posizioni regolari. Inoltre nel film, e anche nella serie televisiva che è seguita, uno dei portali portava proprio all’egitto di circa dodicimila anni fa. Periodo in cui molti studiosi, contrariamente ad altri studiosi definiti canonici, sostengono siano state edificate le piramidi.

Quindi noi proseguiremo il racconto in sintesi e riporteremo l’estratto dal libro relativo all’esperimento, a voi e alla vostra sensibilità il compito di godervi la lettura come se fosse un racconto di fantascienza o uno dei tanti esperimenti fatti dall’uomo che poi sono stati derisi/denigrati/occultati e tra questi potremmo citare alcuni esperimenti di free energy fatti da Nikola Tesla forse il più grande scienziato di tutti i tempi, o la fantomatica macchina di Ettore Maiorana di cui forse parleremo in un prossimo articolo.

Le “Piastre di Tesla” trasmettono energia? La mia prova personale.

 

Incredibilmente, e motivo per cui ho deciso di parlare di questo argomento, in rete si trova un video, di seguito proposto, in cui pur affermando che l’esperimento di Ferlini non ha alcun rigore scientifico, e che nel suo libro non sono presenti fotografie o dati relativi alle misurazioni, (assolutamente vero), hanno deciso di replicare l’esperimento, o almeno il primo e più basilare notando delle cose a mio parere sconcertanti.

Nel video che segue si riportano delle misurazioni definite “bizzarre”, e “l’offuscamento visivo” riportato dal Ferlini sembra essere effettivamente stato riscontrato sia agli occhi dello scettico realizzatore dell’esperimento, sia di altre persone chiamate come “controllo”, sia perfino attraverso delle foto scattate.

Quindi mantengo la mia posizione scettica, fino a prova contraria, circa l’aspetto più fantascientifico dell’esperimento “avanzato” condotto dal Ferlini ma anche io ammetto di essere rimasto alquanto sconcertato dal piccolo esperimento condotto nel video che segue.

Prima di passare alla lettura dell’estratto del libro, o del libro stesso vi consiglio di leggere questo preambolo che anche se in estrema sintesi ci porta più vicino alla comprensione dell’esperimento.

Quindi dopo il primo esperimento, replicato nel video qui sopra Ferlini decise di riprodurlo in scala maggiore e quello che sarebbe accaduto (riecco i condizionali), fu che lo stesso Ferlini venne avvoltodella nebbia e sparì dalla vista, egli sostiene, sia nel libro che in un’intervista a Rai 3, di aver visto un altro posto. (dettagliato in seguito nell’estratto).

L’esperimento nel frattempo prosegue e gli assistenti osservarono la nebbia espandersi notevolmente e cambiare colore passando per tutta lagamma dell’arcobaleno. Finalmente egli ricomparve alla vista degli assistenti esterrefatti. Curiosamente la maschera antigas che aveva con se, e che si era tolto poggiandola vicino a un magnete sparì e non fu più possibile trovarla.

Del racconto esiste anche una registrazione sonora, in una intervista fatta a Rai 3 con il compianto Pietro Cimatti. Il portale dimensionale di Ferlini o come lo definì lui stesso “barriera magnetica” sarebbe quindi un vero e proprio sistema di phase shifting che permette dicollegare la dimensione che per convenzione definiamo “fisica” con altre dimensioni del multiverso olografico.

Ed ora direttamente dalle parole del Ferlini ecco nel dettaglio cosa sarebbe successo durante il primo e il secondo esperimento.

Il primo esperimento

[…] Comunque, dopo qualche tempo decidemmo di fare un esperimento più consistente: prendemmo quattro calamite permanenti piuttosto potenti e tutte perfettamente eguali, le ponemmo in croce su morsetti mobili installati su telaio metallico isolato dal suolo e fissammo le calamite a quattro regolatori calibrati in modo da poterle avvicinare ed allontanare tutte allo stesso modo e momento.

Da notare che questa volta non erano delle comuni calamite di ferro magnetizzato, ma grosse calamite, costruite con acciaio speciale e appositamente magnetizzate con elettromagneti.
Volevamo scoprire che cosa sarebbe accaduto nel momento «critico» durante il quale i flussi magnetici dei quattro magneti si sarebbero incontrati.

Applicammo un volantino per poter regolare l’avanzamento gradualmente e quando finalmente fu tutto pronto diedi il via all’operazione.
Eravamo tutti piuttosto tesi in attesa di chissà quale fenomeno o catastrofe, ma non accadde nulla di particolare. A questo punto, però, le calamite erano a «distanza di sicurezza»; ma quando decidemmo di dare inizio al loro avanzamento verso un nucleo unico centrale, notai che eravamo tutti molto pallidi e nervosi. Io ero addetto all’avanzamento delle calamite mediante un volantino, e l’avanzamento avveniva secondo una calcolata distanza entro la quale doveva aver inizio il periodo critico dell’operazione.

E allorché vi giunsi, il congegno cominciò a vibrare dapprima lentamente poi sempre con maggiore energia fino a dare la netta impressione che ciascun magnete esercitava un’enorme forza sul morsetto di tenuta: a questo punto i quattro poli erano tuttavia ancora piuttosto distanti tra loro e la superficie «critica» era di circa 400 cmq.

Cosa sarebbe accaduto con un altro giro di volantino?

Qualcuno disse che sarebbe stato opportuno mettere tra gli interferri un dito per conoscerne gli effetti, ma nessuno ebbe il coraggio di farlo.
Stavamo così ragionando sul da farsi, allorché sentimmo uno strano odore che io subito azzardai a definire di ozono, cioè il caratteristico gas che si genera per azione della scarica elettrica, ma dissi di non esserne troppo sicuro tanto più che intorno alle quattro calamite sotto tensione ora si stava sviluppando una specie di nebbiolina azzurrognola simile al fumo leggero di una sigaretta contro il sole.

Accanto alla «macchina» vi era un tavolo piastrellato con sopra diverse vetrerie che cominciarono a tintinnare: non vi era dubbio che qualcosa stava accadendo intorno a noi e ne avemmo la conferma allorché qualcuno disse di provare un senso di vertigine. Bloccai l’esperimento in atto e tutto tornò normale ed il giovane assistente che aveva parlato disse di essersi sentito colpire alla testa da qualcosa di enorme grandezza ma di nessun peso. […]

Il secondo esperimento

[…] Quanto era accaduto ci portava a molte considerazioni, ed una soprattutto mi lasciava perplesso: in fondo, non avevamo usato che quattro piccoli magneti; ma cosa sarebbe accaduto se avessimo avuto un campo magnetico formato da magneti di notevole potenza? […]

Dopo lunghe ricerche, decidemmo per l’acquisto di quattro enormi calamite permanenti a forma di “C”, per il cui trasporto fu necessario un apposito carro attrezzi con gru. Erano di acciaio dolce e pesavano circa quattro tonnellate ciascuna.
Lunga e laboriosa fu la costruzione del sostegno e delle slitte di scorrimento, ma un notevole problema lo dovemmo affrontare soprattutto per bloccare il sostegno al terreno: si dovettero fare delle gettate in cemento con grosse zanche affogate e dovettero trascorrere diversi giorni prima che fosse possibile considerarle pronte per potervi applicare la base del sostegno.

Per il resto, si operò come per la prima esperienza solo che questa volta tutto era molto più grande e rapportato alle quattro enormi calamite.

Finalmente arrivò il giorno tanto atteso.

Allorché mi avvicinai al volantino erano circa le ore 11 del mattino. Era una giornata piena di sole, con il cielo sereno e senza alcuna traccia di nubi. La temperatura era di circa 21° C.

Secondo i calcoli fatti, l’«area critica» doveva essere di circa 3.150 cmq., il che voleva dire avvicinare i poli fino a circa 50 cm. l’uno dall’altro: uno spazio che in quel momento consideravamo enorme, almeno per le nostre esperienze. Inoltre, avremmo avuto un flusso notevolmente alto, tale da poter creare una forte potenza di attrazione.

Avevamo calcolato tutto, anche i rischi, per cui potevamo agire con una certa tranquillità.
Eravamo tutti in camice bianco e dotati di maschere antigas. Mi posi al volantino. Dopo un primo scatto, le spie elettriche luminose s’accesero, e quindi i magneti erano ormai sotto tensione, la quale aumentava ad ogni ulteriore scatto del volantino. All’inizio dell’operazione la distanza tra le calamite era di circa 110 cm. […]

Allorché l’avanzamento ebbe raggiunto il massimo «punto», potei constatare che tutte le apparecchiature di controllo che avevamo installate con cura e su apposito quadro di marmo, funzionavano alla perfezione. Vi erano, inoltre, una lunga serie di strumenti da laboratorio ed un magnetometro, che avevamo allineati ai fianchi della «macchina» tutti in qualche modo collegati alla «macchina» stessa. Infine, come ho già detto, il sostegno metallico sul quale avevamo installato i magneti era solidamente bloccato al suolo su massi di cemento armato di notevole ampiezza e profondità.

Le slitte di scorrimento dei magneti, infine, erano state saldate elettricamente alla struttura metallica di sostegno, e il tutto era stato isolato con speciali isolatori normalmente usati per il trasporto dell’energia elettrica. Il volantino per il lento avanzamento dei magneti era stato sostituito dalla ruota di un timone navale, per cui io assumevo la strana figura di un nocchiero al comando di una barca in bonaccia. La costruzione delle slitte di scorrimento con le aste filettate per il lento avanzamento aveva richiesto particolari attenzioni di precisione perché è evidente che tutto il buon esito dell’operazione stava esattamente in tale precisione: era necessario, infatti, che i quattro poli si fossero venuti a trovare sotto carica tutti nel medesimo istante.

E l’istante venne.

Ce ne accorgemmo allorché notammo come un irrigidimento di tutto quanto era stato installato: tutti gli strumenti ed apparecchiature esistenti nel giardino sembravano bloccati, intorno ai magneti era perfettamente udibile un sordo ronzìo e, come nelle precedenti esperienze, nell’«area critica» dopo qualche secondo prese a svilupparsi la solita nebbiolina azzurrognola.

Tra le apparecchiature di controllo avevamo posto anche un ozometro; notai che non dava alcun segno di vita. Tuttavia, volli provare a sollevare la maschera ed il caratteristico odore forte e penetrante dell’ozono (pericoloso a respirarsi perché attacca le mucose) giunse ben distinto alle mie narici, che mi affrettai a ricoprire.

A questo punto feci una considerazione: visto che l’ozono si ottiene per scariche elettriche sull’ossigeno vuol dire che nell’«area critica» doveva esserci «anche» energia elettrica, che tuttavia non era visibile; oppure il «flusso magnetico» provocava la medesima azione sull’ossigeno.
E la cosa mi parve strana: evidentemente il gas che si generava non era ozono, pur essendo molto simile ad esso. Tuttavia, poiché disponevamo di due ozometri, uno dei quali era in laboratorio, corsi a prenderlo e lo applicai proprio in prossimità della «macchina», nell’ipotesi che l’altro fosse fuori uso: ma neppure questo secondo apparecchio segnalava presenza di ozono.

Quindi, se il gas che si sprigionava dalla «macchina» non era ozono, alla prossima esperienza avremmo dovuto applicare anche un analizzatore di gas.
Intanto la «nuvola» aveva acquistato maggiore consistenza e stava avvolgendo il luogo dell’esperimento. Guardai in alto, e notai che gli edifici circostanti non erano più ben visibili, era come se nel giardino vi fosse improvvisamente calata una classica nebbia autunnale.

Avendo fatto avanzare ancora leggermente i «poli», mi avvicinai alla «macchina» per meglio osservare nell’«area critica», ed ebbi l’inavvertenza di togliermi la maschera antigas: provai un brivido; mi alzai in piedi di scatto e guardai in alto, verso gli edifici circostanti: al loro posto vidi un’altissima costruzione di pietra con il vertice, o tetto, inclinato, ricoperto da una strana «cappa» metallica.

Davanti a me vi era, ben visibile, un’enorme costruzione offuscata dalla nebbia e tutt’intorno niente altro. Mi accorsi di non essere capace di parlare, né di ricordare. Era esattamente come se mi trovassi nel vuoto più assoluto, non solo esterno, ma anche nel mio stesso essere. Notai che non riuscivo a pensare in maniera logica, mentre rimanevo abbagliato dal vertice della costruzione che brillava al sole.

L’esperienza era al termine allorché udii alle mie spalle la voce di qualcuno che mi chiamava. Mi dissero di avermi cercato inutilmente per farmi osservare gli effetti della trasformazione della nebbia da azzurrognola a verde: dicevano che era stato uno spettacolo meraviglioso. Sbloccai il
volantino dalla «macchina», mentre la nuvoletta era pressoché scomparsa.

Nel luogo dell’esperimento, in pratica, non era accaduto nulla, ad eccezione del fatto che mi avevano cercato e non mi avevano trovato;

niente di qualche interesse da rilevare. Anche le strumentazioni, escluso l’ozometro, avevano tutte registrato regolarmente le diverse fasi dell’operazione. Ed io stesso non avevo ormai il minimo ricordo di quanto mi era accaduto. Ma era poi accaduto qualcosa?

Cercai di capire. Mi dissero che ad un tratto si erano accorti che io mi ero allontanato, dal momento che non mi vedevano più, ma non avevano dato importanza alla cosa, intenti com’erano a rilevare i dati degli strumenti. La nebbia azzurrognola era divenuta intensa, e nessuno di loro si era azzardato ad avvicinarsi alla «macchina». Il ronzìo era piuttosto forte, e tutto sembrava trovarsi sotto forte tensione.

Ad un certo momento, la nebbia era divenuta dapprima arancione, poi verde, per ritornare quindi azzurrognola.
In questo giuoco di colori, tutto quanto si trovava nel locale sembrava trasformato ed evanescente; tuttavia, nessuno aveva avuto il coraggio di penetrare nell’«area critica», e stavano appunto ultimando le registrazioni, secondo quanto era stato preventivamente convenuto, allorché si accorsero che ero accanto a loro.

In effetti, per quanto riuscivo a capire, nel momento in cui mi ero chinato sopra la macchina per vedere nell’interno dell’«area critica» e per vedere meglio mi ero tolta la maschera, io ero letteralmente scomparso o almeno ero divenuto invisibile per riapparire al momento in cui la macchina era stata fermata e tutto era ritornato normale.

Poiché, a rigor di logica, non potevo ammettere una disintegrazione con successiva «ricomposizione» della mia persona, dovevo più semplicemente pensare ad un fenomeno di invisibilità apparente, visto che senza dubbio il corpo, se pur non visibile, aveva continuato a vivere ed era integro.

Quindi, com’era stato possibile per me vedere cose del tutto diverse ed inesistenti in quel luogo come quelle da me viste? Non riuscivo a spiegarmelo, tanto più ora che ero tornato alla normalità;
delle cose che avevo visto, ne avevo appena un vago ricordo, come di cose vedute in un sogno; ecco, era esattamente come se il mio fosse stato un sogno, un qualsiasi sogno!

Ero così intento nei miei pensieri, allorché uno degli assistenti venne a domandarmi dove avevo messo la mia maschera antigas. Mi guardai attorno e risposi che non ne sapevo niente. Me l’ero tolta, ma non sapevo dove l’avevo appoggiata. Lo chiedemmo in giro, ma nessuno ne sapeva niente;
guardammo e riguardammo in tutto il giardino ed in laboratorio, ma inutilmente; non si riuscì a trovarla. […]

Purtroppo, un nuovo esperimento non venne da noi mai eseguito, perché dopo qualche tempo l’interesse e l’entusiasmo che ci avevano sostenuti fino a quel momento vennero quasi di colpo a mancare. Nel giro di appena tre mesi venni così a ritrovarmi solo con i miei pensieri, e con le numerose domande senza risposta. […]

Conclusioni

Che dire, non sembra anche a voi un racconto di fantascienza? se volete sapere come prosegue la storia leggete le restanti pagine del libro, vi dico solo che però sono rimasto perplessonella constatazione fatta di seguito in cui si afferma che probabilmente lui aveva visto l’Egitto poichè tutti i suoi studi provenivano dallo studio delle piramidi e quindi la “connessione” del portale l’aveva condotto proprio li. Ferlini stesso sostiene che chiunque di noi passando nei pressi di una centrale elettrica, sotto dei pali della luce o comunque nei pressi di forti campi elettromagnetici subirebbe a livello psichico, magari per qualche frazione di secondo una sorta di teletrasporto psichico verso il luogo o il periodo storico al quale staremmo pensando, solo che avverrebbe per frazioni di secondo così rapide da non poterne conservare la percezione.

… e poi… cioè chi al mondo arriverebbe ad un tale e sorprendente risultato per perderne poi così rapidamente interesse?

Ma andiamo su… ci dev’essere dell’altro mi vien da pensare, e se non fosse per la replica dell’esperimento nel video proposto, il tutto andrebbe catalogato in un racconto di fantasia nemmeno troppo originale…

e voi cosa ne pensate?
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